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Sviluppo tecnologico e innovazione

Alla ricerca di esopianeti

25 Novembre 2025
Federico Cella, Michela Rovelli
Fonte immagine: Inaf

Nel bel mezzo del deserto dell’Atacama, in Cile, a 3.000 metri di quota, sta sorgendo un nuovo, gigantesco telescopio che promette di cambiare la nostra percezione dell’universo. Il nome scelto - ELT, ovvero Extremely Large Telescope, che possiamo tradurre con “telescopio estremamente largo” - fa già intuire quale sia la sua caratteristica che lo renderà diverso da ogni altro punto di osservazione celeste creato finora. Le misure sono fuori scala: quattro volte più grande e 15 volte più sensibile dei suoi simili, ha la particolarità di essere stato costruito con un nuovo design ottico che prevede cinque specchi con forme e dimensioni diverse tra loro. Il più grande ha un diametro di 39 metri ed è costituito da 798 specchi esagonali minori. Una progettazione di questo tipo permetterà di sfruttare tecnologie di ottica adattiva che potranno andare oltre la turbolenza dell’atmosfera terrestre e dunque restituire immagini di maggiore qualità. 

 Al momento è stato completato il 65 per cento della struttura dell’ELT. Il progetto del telescopio è europeo: nel 2010 l’European Souther Observatory - organizzazione europea degli astronomi - aveva dato il via ai lavori, che coinvolgono molti Paesi del continente e soprattutto l’Italia. Il consorzio Ace è responsabile della costruzione della struttura del telescopio e della grande cupola che lo sormonta, che sta per essere completata e arriva a un’altezza di 80 metri. Ma anche l’Istituto Italiano di Astrofisica (Inaf) e altre università e centri di ricerca stanno partecipando al progetto. Uno sforzo che, in termini economici, si traduce in un investimento di 1,5 miliardi di dollari e che ha come obiettivo quello di iniziare le osservazioni entro il 2029. 

 Il primo obiettivo dell’ELT, una volta messo in funzione, sarà quello di scrutare il cielo alla ricerca di esopianeti, ovvero pianeti non appartenenti al sistema solare. Le sue potenzialità di ottica adattiva e la possibilità di modificare la forma degli specchi mille volte al secondo ci dovrebbero permettere di cogliere nuovi dettagli di questi oggetti spaziali e delle loro atmosfere. Forse ne troverà qualcuno simile alla Terra che - chissà - un giorno lontano potrebbe diventare una risorsa per il futuro dell’umanità.