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Italia, patria europea delle fake news

12 Dicembre 2023
Federico Cella, Michela Rovelli

La base economica delle piattaforme social si allarga tanto più i contenuti sono condivisi e circolano. Una certezza non aliena per esempio a Elon Musk: il proprietario di Twitter ora X tra le sue attività sul social ha varato una politica ”liberale” in fatto di censura. Mossa che ha portato Musk a inizio 2023 a voler uscire con il suo marchio dall’associazione di aziende che aderisce al codice di condotta dell'Ue contro la disinformazione online. Gli obblighi rimangono comunque validi finché la piattaforma sarà disponibile anche in Europa, così come aveva sottolineato – lo scorso maggio proprio sulla piattaforma “incriminata” - il commissario Thierry Breton: «Puoi correre ma non puoi nasconderti. Al di là degli impegni volontari, la lotta alla disinformazione sarà un obbligo legale ai sensi del Digital services act dal 25 agosto. I nostri team saranno pronti a far rispettare la legge».

Tra i codici di adesione volontaria c’è il report semestrale sull’attività di rimozione di contenuti ritenuti colpevoli di «aver violato le politiche di disinformazione dannose per la salute o di interferenza con gli elettori o con i censimenti nei Paesi degli Stati membri». Se quello di Twitter-X non è stato prodotto, ha fatto molto clamore quello invece pubblicato da Meta – azienda proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp - a fine settembre 2023. Secondo quanto scritto nel rapporto cui sono tenuti i gestori di piattaforme che aderiscono all’associazione, il marchio californiano in Italia s’è dato particolarmente da fare, cancellando in sei mesi ben 45.000 post di Facebook e 1.900 di Instagram. Per dare un’idea del valore del dato italiano, basta raffrontarlo con quello della Germania: il Paese più popoloso nella Ue mostra la metà degli interventi, cioè 22.000 contenuti da Facebook e 1.100 da Instagram rimossi.

L’Italia è prima nell’Unione anche per numero di annunci rimossi su Facebook e Instagram combinati per violazione della politica Meta sulla disinformazione (3.900). Siamo invece al secondo posto per contenuti pubblicati solo su Facebook a cui è stata applicata un’etichetta di verifica dei fatti a seguito di una valutazione di falsità da parte del programma di fact-checking di Meta: oltre 7 milioni, contro il 7,4 milioni della Francia. Dati confortanti che però sono lontani dal raccontare un’informazione pulita e verificata sui social. Secondo quanto raccontato sulla rivista Science Advances, la disinformazione legata al movimento “No vax” non solo non sarebbe stata intercettata a dovere, ma sarebbe stata l’architettura stessa della piattaforma a essere sfruttata per creare nuovi percorsi attraverso cui visualizzare materiale anti-vaccinazione. Facebook si sarebbe trasformato in una sorta di “echo chamber” più o meno involontaria, con i diversi gruppi che potevano coordinarsi tra loro per promuovere nuovi contenuti o ripubblicare quelli rimossi da altre pagine. Con l’algoritmo del feed di notizie - progettato per promuovere i contenuti che generano «interazioni sociali significative» - che verosimilmente non ha fatto altro che aver aumentato l’esposizione ai contenuti di informazioni sbagliate sulle vaccinazioni.